Honda

Motori

Honda NR, la storia della supersportiva a pistoni ovali

honda nr, la storia della supersportiva a pistoni ovali

Honda NR, la storia della supersportiva a pistoni ovali

Per comprendere a fondo la ragion d’essere di un progetto complesso come la famiglia delle Honda NR a pistoni ovali bisogna partire da una considerazione pregressa. Soichiro Honda, fondatore dell’omonimo marchio nel 1948, provava una forte attrazione verso i motori a quattro tempi. Più complessi, pesanti, meno prestazionali, eppure per lui così affascinanti, esempio di una progettazione più avanzata e una meccanica più raffinata. Lo stesso Soichiro definì i due tempi come poco più che “canne di bambù”, riferendosi inevitabilmente al loro funzionamento con i travasi.

È un dato di fatto che la Honda abbia sempre sfruttato la propria posizione di costruttore numero 1 al mondo per tentare di influenzare le federazioni e i regolamenti in favore del motore a quattro tempi. L’esempio più lampante è l’introduzione della classe MotoGP nel 2002 in sostituzione della 500. Honda, con la sua RC 211 V, una meraviglia con motore a cinque cilindri a V, era in maniera lampante l’unica casa realmente pronta per il passaggio, con una moto già ben collaudata e nettamente superiore a tutta la concorrenza, come dimostrano le 14 vittorie sui 16 GP con tre piloti diversi in quell’anno.

Il debutto di Honda nel motomondiale risale 1959, con la partecipazione al Tourist Trophy dell’isola di Man delle RC 141 e 142 da 125 cc e della RC 160 da 250 cc. Tutte moto a quattro tempi, in un’epoca in cui effettivamente questo tipo di motore andava per la maggiore. Dopo una breve stagione vincente, si parla di oltre 130 successi in un arco di 8 anni, a fine 1966 Honda si ritirò dalle competizioni, paga dei successi raggiunti dalle sue moto.

Dodici anni più tardi decise di tornare, ma l’avvicendamento di tecnologie e regolamenti aveva nel frattempo portato alla ribalta i motori a due tempi. Più leggeri, semplici e in definitiva veloci. Honda tuttavia non volle adeguarsi alla tendenza generale, e continuò invece sulla strada del motore a quattro tempi.

Altro dato di fatto è che, a parità di cilindrata, per spremere più cavalli possibile da un propulsore, la via migliore da seguire sia quella del frazionamento. In poche parole, sempre a parità di cilindrata, un quattro cilindri è più performante di un bicilindrico. Fu secondo questa filosofia che Honda introdusse il programma New Racing, in breve NR.

Il regolamento del tempo, era il 1978 quando il programma fu annunciato, prevedeva però per la classe 500 un massimo di quattro cilindri, frazionamento già adottato dalle altre case. Il vantaggio teorico che Honda perseguiva era quindi perduto in partenza, o almeno così pareva.

La soluzione, quantomai singolare, fu quella di realizzare un motore sì a quattro cilindri, ma che replicasse il funzionamento di un otto. Come fare? In effetti il modo c’era, per lo meno in teoria. Dal reparto ricerca e sviluppo Honda di Asaka, sotto la supervisione di Toshimitsu Yoshimura, responsabile della progettazione del propulsore, uscì quindi un V4 con angolo tra le bancate di 100° unico nella storia: i pistoni non erano circolari ma ovali, questo per permettere l’alloggiamento di otto valvole per cilindro. Ognuno di questi pistoni era guidato da due bielle e due erano le candele per ogni camera di scoppio. Quello che avevano cercato di progettare era un propulsore a otto cilindri, ma con camere di combustione unite a due a due, in modo da non infrangere il regolamento che imponeva un massimo di quattro cilindri. Anche la ciclistica della NR era innovativa, con un telaio semi-monoscocca in alluminio abbinato ad una forcella a steli rovesciati.

Sulla carta, il motore della NR avrebbe dovuto girare a regimi di rotazioni stellari, si parlava di 23.000 giri al minuto, ed erogare attorno ai 130 cavalli. Dati che per l’epoca sarebbero stati ragguardevoli, se solo si fosse riusciti a raggiungerli. In effetti, l’unico modo per un quattro tempi per raggiungere le prestazioni di un due tempi era di girare a circa il doppio dei giri rispetto al normale.

Le difficoltà incontrate durante il processo di sviluppo furono enormi per il manipolo di ingegneri guidati da Yoshimura. Nessuno prima di loro aveva sperimentato un motore a scoppio con pistoni ovali, dovettero quindi far fronte a problemi nuovi che si ponevano man mano che lo studio proseguiva. Le incognite erano di ogni tipo e riguardavano gli attriti, la deformazione delle fasce elastiche, la deformazione delle bielle oltre un certo numero di giri che portava ad una rotazione del pistone e alla conseguente rottura di tutto il sistema.

Partirono con la produzione di un motore monocilindrico con pistone ovale e due sole valvole, aggiungendo complessità man mano, con un numero crescente di valvole fino alle otto previste. Andarono avanti a lungo per tentativi, questo funzionava e quello no, provando e riprovando e mettendo in campo uno sforzo immane anche per migliorare l’accuratezza delle lavorazioni, per ridurre la minimo variabili potenzialmente distruttive.

 

I risultati reali furono molto più modesti del previsto, con il V4 che non andò oltre i 16.000 giri e 100 cavalli. Era il 1979, e il debutto ufficiale della 0X, questo il nome in codice della moto, fu programmato per il Gran Premio d’Inghilterra a Silverstone, l’undicesimo della stagione; piloti Mick Grant e Takazumi Katayama. Era poco più che un test, gli ingegneri Honda volevano identificare le debolezze del progetto in condizioni reali, in gara.

Così come le prove sul banco, anche il primo fine settimana di gara della NR 500 fu drammatico, dal punto di vista dei risultati s’intende. I problemi non si fecero attendere e nessuna delle due moto raggiunse la bandiera a scacchi: Grant finì la sua corsa nelle vie di fuga alla prima curva, mentre Katayama si ritirò per un problema tecnico dopo pochi passaggi. Il secondo tentativo, al gran premio di Le Mans, non andò meglio. Nessuna delle due NR riuscì nemmeno a qualificarsi per la gara a causa dei tempi troppo alti fatti registrare in qualifica.

Ma non era solo una questione di inaffidabilità; come suggeriscono gli impietosi riscontri cronologici delle sessioni di prove, la moto era anche lenta e difficile da guidare. Aveva troppo freno motore ed era intrattabile nell’erogazione della potenza, dava tutto di colpo, senza la possibilità di parzializzare la spinta. Il peso era anche quello un handicap, la NR pagava una ventina di chili rispetto alle rivali. Per ovviare a questo si fece ricorso a materiali nobili, titanio al posto dell’acciaio, magnesio al posto dell’alluminio. I risultati indesiderati furono di far schizzare i costi alle stelle ma soprattutto di suggerire agli avversari che avrebbero potuto fare lo stesso.

Trattandosi dichiaratamente di prove in gara, consci che le moto non erano davvero pronte, le attese non erano di grandi risultati, ma una disfatta simile non fece comunque piacere ai vertici dell’azienda.

Negli anni successivi la moto venne evoluta e a tratti stravolta, grazie a nuove ciclistiche e ad un motore profondamente rivisto con un basamento con diverso angolo tra le bancate. Le prestazioni sul banco prova migliorarono ma non i risultati in gara, o per lo meno non quanto la dirigenza Honda pretendeva. Nel 1982 il programma era ormai attivo da quattro anni e il tempo era scaduto.

Fu in un certo senso umiliante per i fautori del motore a pistoni ovali quando, sempre nell’82, Honda fece debuttare la sua prima 500 a due tempi, la NS 500 a tre cilindri, e questa salì sul podio alla prima apparizione e vinse il mondiale l’anno successivo con Freddie Spencer. Come a dire che con il giusto tipo di motore la vittoria era ampiamente alla portata, ma non con un concentrato di complessità incapace di esprimere il suo teorico potenziale.

Per il 1983 venne preparata la NR 3X, la quale diede riscontri positivi al banco con 130 cavalli a oltre 19.000 giri, ma non venne mai schierata visto che la NS a due tempi era riuscita a vincere con uno sforzo infinitamente minore e aveva cancellato la necessità di una nuova moto a pistoni ovali da Gran Premio. Una breve apparizione in un evento locale negli Stati Uniti a Laguna Seca, in realtà risalente all’81, aveva dimostrato che le evoluzioni della NR avevano effettivamente del potenziale, quando con Freddie Spencer la 2X aveva guidato la gara per qualche giro davanti a Kenny Roberts su Yamaha, prima di essere fermata da un problema elettrico.

 

Del programma NR a dire il vero non era tutto da buttare. Una versione della NR ottenne la vittoria alla 500 Km di Suzuka del 1981 con Kengo Kiyama, forte di un minor consumo di carburante rispetto alle due tempi, che permetteva una strategia con un numero inferiore di pit stop. Anni più tardi, era il 1987, la NR fu portata a 750 cc e approntata in configurazione endurance, con una potenza di 155 cavalli a 15.250 giri/min. Honda la schierò al via della 24 Ore di LeMans con un team composto dall’australiano Malcolm Campbell, il francese Gilbert Roy e il giapponese Ken Nemoto. Questa NR da endurance conquistò il secondo tempo in qualifica e partì in buona posizione in gara, ma fu costretta al ritiro per guasto dopo poche ore.

Ma nemmeno dopo l’ennesimo fallimento alla gara di durata in Francia era giunta l’ora di mettere la parola fine al programma New Racing. Qualche anno di quiete e arrivò il 1992, quando fu presentata al mondo la versione stradale definitiva della NR, svelata come prototipo nell’89. La base attorno alla quale nasceva la NR 750, nome in codice RC 40, era la settemmezzo da endurance di fine anni ’80. Le misure vitali del motore erano le stesse, ma non le sue performance. Per ottenere un’affidabilità che non era mai stata il segno distintivo delle NR da corsa, la 750 stradale era stata depotenziata fino a 115 cavalli alla ruota, nulla di straordinario per una moto di quel periodo se pensiamo che era la stessa potenza erogata dalla CBR 900 RR dello stesso anno, una moto decisamente più convenzionale e con meno incognite.

La NR 750 è passata alla storia per essere stata l’unica moto con pistoni ovali costruita in serie, anche se gli esemplari prodotti alla fine furono pochissimi, solo 322 e venduti in Italia ad un prezzo stellare di 91 milioni di lire. Giustificato, se mai lo sia stato, non solo per l’unicità e il tipo di motore in sé, ma anche per tante altre soluzioni tecniche particolari e l’impiego di materiali pregiati meno diffusi di quanto non siano oggi, come alluminio, fibra di carbonio, magnesio e tanto altro.

La NR è tuttavia una moto che, per come è percepita oggi, trascende le sue qualità, o difetti, meccanici progettuali. Trent’anni più tardi la vediamo come un concentrato di tecnologia, un oggetto estremamente raro e ricercato che racchiude in sé soluzioni uniche nella storia della motocicletta, un laboratorio viaggiante che è diventato uno dei simboli della potenza di fuoco Honda in quanto a investimenti e ricerca per il mondo delle corse.

TOP STORIES

Top List in the World