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Guida Michelin – Polvere di stelle

guida michelin – polvere di stelle

Guida Michelin – Polvere di stelle

I punti di contatto tra il mondo dell’auto e quello della cucina possono essere tanti, ma se ci si dovesse limitare a indicarne uno la risposta sarebbe obbligata: la Guida Michelin. Perché a pubblicarla è una celebre casa di pneumatici, perché da decenni trova posto negli abitacoli delle auto di mezzo mondo (da quando è partita la rivoluzione digitale, ovviamente, molto meno) e perché continua a essere il punto di riferimento internazionale più importante in tema di valutazione di ristoranti. Perciò c’è sempre molta curiosità quando, ogni novembre, esce l’edizione italiana della guida, quest’anno giunta al suo 68 appuntamento. Soprattutto, a livello mediatico e non solo, c’è grande attesa per vedere quali sono e se ci sono i nuovi tre stelle, i locali a cui la Michelin attribuisce il voto massimo. Insomma, i ristoranti che per la guida rossa sono nell’empireo dell’alta cucina.

Dodici tre stelle. Ebbene, quest’anno uno c’è ed è il Villa Crespi di Orta San Giulio (NO), guidato da Antonino Cannavacciuolo, tra l’altro volto noto della popolare trasmissione televisiva MasterChef. Il locale del cuoco campano diventa così il dodicesimo ristorante italiano che oggi può fregiarsi delle mitiche tre stelle Michelin, a fianco di Piazza Duomo (Alba CN), Enrico Bartolini al Mudec (Milano), Da Vittorio (Brusaporto BG), Dal Pescatore (Canneto sull’Oglio MN), Le Calandre (Rubano PD), St. Hubertus (Alta Badia BZ), Osteria Francescana (Modena), Enoteca Pinchiorri (Firenze), Uliassi (Senigallia AN), La Pergola (Roma) e Reale (Castel di Sangro AQ). Tra i due stelle, i ristoranti alle porte dell’Olimpo gastronomico, almeno secondo la guida rossa, le nuove entrate sono quattro (per un totale di 38), ossia la coppia romana Acquolina-Enoteca della Torre, il siciliano St. George di Taormina (condotto da Heinz Beck, che ha già tre stelle alla citata La Pergola) e la Locanda di Sant’Uffizio di Penango (AT), guidata da uno chef che la Michelin evidentemente adora, visto che può contare anche su tre stelle al già segnalato Mudec, su due al veneziano Glam e su una al bergamasco Casual e ai toscani La Trattoria e Poggio Rosso. Tutti locali supervisionati dal cuoco-manager pistoiese, che quindi detiene un totale di ben dieci stelle: un record per l’Italia (naturalmente Bartolini non ha il dono dell’ubiquità, ma si suppone che a questi livelli lo chef-star scelga collaboratori in grado di rispondere alle sue aspettative e agli standard richiesti, o almeno dovrebbe essere così).

Tutto iniziò nel 1900. Non si limita però a parlare di ristoranti (tra i quali vi sono anche i bib gourmand, ossia le tavole che si distinguono per il buon rapporto qualità/prezzo), la Michelin: propone anche una selezione di alberghi. Del resto, quando la guida è nata, in Francia, erano proprio gli hotel al centro del volume, mentre i ristoranti non c’erano proprio. Correva l’anno 1900 e la casa di pneumatici distribuì per la prima volta in 35 mila copie un libretto rosso di 400 pagine offerto gratuitamente agli autisti (e sarebbe stato dato in omaggio fino all’edizione del 1919). Le località dell’Esagono presenti erano 2 mila e, accanto agli alberghi, si citavano, tra l’altro, i distributori di benzina, i garage e le officine. Questo per far capire quanto fin dall’inizio il rapporto tra auto e Guida Michelin sia stato stretto, cosa che certo non può sorprendere. Era principalmente agli automobilisti che la pubblicazione si rivolgeva e lo avrebbe fatto sempre più nel corso del secolo, con l’avvento della motorizzazione di massa. I ristoranti comparvero per la prima volta nel 1923, mentre la loro classificazione in stelle (che ancora oggi riguarda soltanto i migliori: la maggior parte dei locali citati ne è priva) così come la conosciamo risale al 1933. La guida venne a lungo pubblicata esclusivamente in Francia: la prima edizione straniera fu proprio quella italiana, nel 1956. Poi ne arrivarono molte altre in svariati Paesi europei e in un secondo tempo soprattutto in questo secolo anche nel resto del pianeta.

Questione di voti. La guida rossa è ancora molto seguita, in tutto il mondo, e di conseguenza può continuare a fare la fortuna di un ristorante: l’assegnazione di una stella (la prima, la seconda e ancor più la terza) ha in genere conseguenze molto positive sul fatturato di un locale, specie per quelli più decentrati e fuori dalle grandi città. Però se un tempo la Michelin godeva di una posizione di quasi monopolio, ora le cose sono cambiate, sia perché si sono moltiplicate le guide e le classifiche di ristoranti, alcune delle quali, almeno in tema di alta cucina, hanno un’influenza crescente (il riferimento è soprattutto alla lista The World’s 50 best restaurants), sia perché, con l’esplosione di Internet, si sono imposti siti a partire da TripAdvisor dove a giudicare i ristoranti sono gli stessi clienti. Dalla sua la Guida Michelin continua ad avere il vantaggio di poter contare su uno staff di ispettori che visitano i locali in modo anonimo, cosa che quindi dovrebbe contribuire a rendere più oggettivi, oltre che professionali, i giudizi. D’altra parte non è dato sapere quanti siano, questi ispettori, il che fa sorgere dubbi sull’effettiva frequenza delle visite. E ne alimenta qualcuno anche sulla validità delle valutazioni, che in effetti in non pochi casi paiono assai discutibili. Certo, siamo in un campo dominato per definizione dalla soggettività, però si fa fatica a capire, tanto per fare un paio di esempi, come chef di cucina contemporanea quali Riccardo Camanini (Lido 84, Gardone Riviera – BS) e Antonia Klugmann (L’Argine a Vencò, Dolegna del Collio – GO), ritenuti di altissimo profilo dalla maggior parte della critica gastronomica, possano restare ancorati a una misera stella. Specie considerando il fatto che non di rado, al contrario, le tre stelle vengono elargite con grande generosità.

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