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Fiat 131, l'auto da famiglia che diventa campione del mondo

A volte gli astri sorridono anche a coloro che nascono nel momento e nel luogo sbagliato. La Fiat 131 era stata immaginata per avere una destinazione d’uso diversa, più frivola e rilassata, ma quando viene presentata al Salone dell’Automobile di Torino del 1974, le contingenze storiche sono molto sfavorevoli per i lustrini e le paillettes. La Guerra del Kippur ha mandato il prezzo della benzina alle stelle, di conseguenza la maggioranza delle automobili ha subito un drastico stop alla circolazione e altre sono finite nel mirino di coloro che le reputano un orpello ormai inutile.

L’inflazione, poi, non dà tregua e non c’è respiro, soprattutto per la classe operaia, che comincia a picchettare gli stabilimenti del colosso torinese. Nonostante lo scenario ostile, i dirigenti di Fiat lavorano alacremente, i tecnici scattano tra un corridoio e l’altro, schivano i tumulti, le manifestazioni e le rappresaglie, arrivando alla gestazione finale di una berlina all’apparenza molto austera.

Bisogna dimenticarsi le versioni coupé e cabriolet della sua antenata 124, alla 131 sono tassativamente vietate, perché i tempi sono cambiati e bisogna badare al sodo. Al Lingotto sanno che questa automobile deve rispecchiare profondamente determinati canoni: sicurezza, comfort e classe. Il lavoro viene portato a termine con successo, anzi, la 131 si rivelerà così ben costruita da sorprendere e stupire, eccellendo anche in ambito sportivo, togliendosi lo sfizio di laurearsi campione del mondo rally per tre anni consecutivi.

Nata per essere solida

Il mercato impone delle linee da seguire molto nette, che la Fiat vuole fare sue senza deragliare neanche per un istante. Le auto di quel periodo devono consumare di meno, essere solide e robuste. L’obiettivo finale è quello di dare ai clienti un oggetto che si trasformi in un riparo caldo e accogliente come un nido, per tutte quelle famiglie che hanno il desiderio di viaggiare su gomma. Senza, tuttavia, pesare troppo sul portafoglio. La 131 alza la mano e risponde presente all’appello, assumendo nei suoi circuiti e nei suoi metalli tutte le doti appena elencate.

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La nuova berlina viene concepita con scocca composta da una cellula abitativa indeformabile, mentre il muso e la coda sono congegnati per assorbire qualsiasi tipo di urto. Inoltre, i paraurti sono ad incasso per permettere una maggiore elasticità in caso di sinistro, mentre i lamierati sono imbullonati anziché saldati. Soluzione, quest’ultima, pensata per non gravare sulle spese del proprietario una volta portata la macchina dal carrozziere.

Più vesti per la Fiat 131

Per la prima volta un modello di Fiat può fregiarsi non soltanto di una sigla numerica, ma anche di un nome: infatti comapre Mirafiori accanto a 131. Un omaggio allo stabilimento torinese in cui questo veicolo viene assemblato e costruito. L’ambizione è fortissima, perché al Lingotto – seppur rinunciando a coupé e cabrio – vogliono declinare la propria macchina in più varianti di carrozzeria, tutte logiche e razionali, senza trascinarsi in vezzi inutili. Dunque, a fianco della classica berlina a quattro porte, amata soprattutto negli Stati Uniti, ci sono la due porte (destinata ai mercati Nord Europei), e la station wagon che assume la denominazione di Familiare. Gli allestimenti poi sono pragmatici: “Mirafiori” e “Mirafiori Special”. Il primo più abbordabile, riconoscibile soprattutto per i fari anteriori rettangolari, e il secondo più ricco, distinguibile per i doppi gruppi ottici circoli all’anteriore.

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Con la seconda serie, al debutto nel 1978, il listino si fa più ricco con l’aggiunta dell’esclusivo allestimento Supermirafiori che vanta dei cerchi dalla forma a quadrifoglio in lamierato stampato, paraurti in plastica e targhette identificative. La due porte, invece, viene impreziosita con la versione Racing (2.0 litri 115 CV), mentre la station wagon diventa la Panorama. Quest’ultima sarà la familiare più venduta nella storia di Fiat, la più diffusa nelle strade del mondo, soprattutto quelle del vecchio e caro Stivale. Nel 1981 entra in scena la terza serie, il canto del cigno, perché nel 1983 la 131 si congeda per lasciar spazio alla Regata.

Una ricca gamma di motori

Al debutto la 131 si presenta con motore ad aste e bilancieri longitudinale e trazione posteriore, uno schema classico che regala un abitacolo spazioso e confortevole. I primi propulsori, quelli del 1974, derivano direttamente dalla 124: 1.3 da 65 CV e il 1.6 da 75 CV. Nel complesso offrono prestazioni dignitose e consumi garbati. Il cambio può essere il manuale a quattro o cinque velocità, oppure un automatico a tre marce. Con i tempi che corrono e gli scenari finalmente più favorevoli, i motori bialbero subiscono un discreto upgrade, in concomitanza del lancio della seconda serie: il 1.6 raggiunge i 96 CV, mentre sulla Racing a due porte esordisce un 2.0 da 115 CV. La berlina di Mirafiori tocca la velocità massima di 180 km/h.

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A completare la gamma arrivano anche i quattro cilindri diesel 2.0 e 2.5, prodotti dalla Sofim. In quel caso, la 131 vede crescere una leggera gobba sul cofano anteriore. I più ambiti, però, erano quelli con la puntura dello Scorpione di Abarth, che equipaggiavano la versione stradale della 131 Abarth Rally: un 2.0 litri da 140 CV, 16 valvole e dalle prestazioni mostruose per la sua epoca.

Campione del mondo rally

Come Clark Kent e Superman, la 131 sveste l’abito borghese per trasformasi in eroina. Il suo habitat passa dalla città al fango, alla neve e allo sterrato. Nel frattempo la carrozzeria della due porte diventa muscolosa, bombata e cattiva. Sotto al cofano, per le versioni da competizione, giunge in supporto un 2.0 da 215 CV che spinge la torinese a quasi 200 km/h. Le migliorie tecniche del team Abarth e della squadra corse Fiat, permettono a questa macchina di divenire un’arma invincibile su ogni terreno. Dal ’78 al 1980 arrivano tre titoli mondiali rally consecutivi, che garantiscono alla 131 l’ingresso alla sala riservata alle più grandi vetture nella storia dei rally. Un merito ce lo hanno anche piloti del calibro di Markku Alen e Walter Rohrl, capaci di esaltarsi al volante della “Mirafiori” d’assalto.

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Diffusa in tutto il globo

Alla Fiat 131 viene affidato un biglietto di sola andata per gli Stati Uniti, ma sul passaporto cambia l’identità. In quel mercato, infatti, si chiamerà Brava, come la berlina compatta di metà anni Novanta. Naturalmente per rispettare le norme in vigore a quelle latitudini, l’italiana muta anche parte del suo aspetto, aggiungendo dei paraurti maggiorati e delle luci di posizione di serie. Lo stesso motore è diverso, perché viene adottato un 1.8 da 86 CV. L’accoglienza è discreta, ma non lascerà il segno.

Cosa che avviene da altre parti, perché come altre sue colleghe anche la 131 diventa una world car a tutti gli effetti. Su licenza Fiat viene prodotta dalla Seat, in Spagna, tra il 1975 e il 1982 in 356.670 esemplari. Stessa sorte nella lontana Turchia, dove la 131 viene costruita a Bursa dalla Tofaş. Da qui si muove alla volta dell’Egitto nel 1991 fino a raggiungere l’Etiopia nel 2006, a distanza di oltre quarant’anni dal suo debuto sotto alla Mole Antonelliana. Della 131 “turca” sono stati prodotti 1.257.651 esemplari, mentre per l’ “italiana” ben 1.513.800. Un successo clamoroso, forte di una progettualità studiata nei minimi dettagli, di una qualità impeccabile e di un prezzo competitivo.

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