F1, Ferrari: perché ha perso anche questo Mondiale
La vicenda rischia di coprire il resto, pure le debolezze della Ferrari in una stagione che si era aperta con la doppietta in Bahrain. Si respirava aria nuova quella sera del 20 marzo: la «festa della liberazione», nel deserto si celebrava la fine della traversata del deserto; l’orgoglio ritrovato dopo anni di umiliazioni, «punizioni» federali (quella per il motore 2019, scontata nel 2020), sembrava la volta buona. Sembrava. Ma il vento rivoluzionario si è trasformato in bonaccia per riportare la Ferrari nella normalità del «si vince l’anno prossimo», in un replay che dura da 14 anni. Dal 2008, titolo costruttori, con la beffa di Massa in Brasile.
Nel frattempo si sono alternati tre presidenti (da Montezemolo a Marchionne a Elkann), quattro team principal (Domenicali, Mattiacci, Arrivabene e Binotto), tre campioni del mondo hanno fallito (Alonso, Vettel, e Raikkonen con il ritorno nel 2014), si è corso con tre regolamenti differenti. È cambiato tutto senza che cambiasse nulla, la Rossa non solo ha continuato a non vincere, ma da dieci anni non riesce nemmeno ad arrivare a giocarsi il titolo all’ultimo Gp (Interlagos 2012).
Al team principal si possono rimproverare molte cose, non quella di averci sempre messo la faccia. Anche quando — al di là delle smentite ufficiali — partivano i sondaggi nel paddock della F1 per trovare un sostituto. Offerte che gli interessati avrebbero declinato con cortesia, l’ultimo sarebbe stato il tedesco della McLaren Andreas Seidl. Undici pole per quattro vittorie sono la misura della stagione da montagne russe della Ferrari. Nella quale alcuni episodi hanno contribuito a raffreddare i rapporti.
Carlos Sainz, «aziendalista», allineato quasi sempre. Leclerc, con il tarlo di aver buttato via un’occasione enorme a divorarlo. Punito da errori grossolani del muretto e dai suoi stessi sbagli, non ha risparmiato critiche alla squadra. Fa sempre retromarcia ma la sostanza resta, come resta quella linea diretta che il monegasco avrebbe con Elkann. Chiacchierate, e non per parlare soltanto di moda, della collezione del Cavallino.
Oltre gli uomini, la fragilità tecnica: più di 100 punti persi per motori arrosto e guai di altra natura. I motori non hanno mai potuto girare davvero al limite. Problemi diversi ogni volta hanno costretto ad abbassare la potenza. Pensare a finire le gare, prima di tutto.
L’ultimo successo, di Charles in Austria il 10 luglio, coincide anche con l’ultimo ritiro per grane alla power unit (Sainz). La medicina per l’affidabilità è vicina, ed è la carta più importante per il 2023. Insieme a quelle che Binotto si sta giocando con la Fia per ottenere vere sanzioni contro la Red Bull. Di qui passano le speranze di andare oltre le quattro vittorie di tappa.