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F1 | Ferrari: cosa c'è oltre il male oscuro delle power unit?

Il male oscuro. Il nemico invisibile. La sostituzione del motore di Jeddah, attingendo alla seconda unità stagionale delle tre concesse per l’intero campionato, ha scatenato una serie di giuste reazioni da parte dei media: come è pensabile che tutta la power unit venga cambiata dopo un solo GP su entrambe le monoposto, senza che si sospetti un serio problema di affidabilità?

È lecito pensarlo, tanto più che Charles Leclerc è uscito dal Bahrain con uno zero in classifica, frutto di un ritiro causato al giro 41 dalla centralina che è andata in tilt per un problema a un cablaggio. In realtà il corto circuito aveva già bruciato un’altra CE e una batteria alla domenica mattina, accendendo timori e preoccupazioni.

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Carlos Sainz, Ferrari SF-23

Photo by: Mark Sutton / Motorsport Images

Che non si sono spente dopo le prove libere di ieri mattina, condotte a un passo ridotto di motore con mappature prudenziali. La Ferrari non ha fatto niente e non ha detto niente per dare una spiegazione che andasse in un’altra direzione. Ma se c’era un vero allarme di motore forse avrebbero approntato una scorta anche per i team clienti. E così non è stato, almeno finora…

E, allora, bisogna andare a cercare altre chiavi per spiegare quanto sta succedendo. La Ferrari è la squadra che più ha osato, portando molte novità che non sono solo di aerodinamica. L’ossessione del venerdì era capire se il degrado della gomma visto a Sakhir si sarebbe rivisto anche a Jeddah, un cittadino con altre caratteristiche di asfalto.

Il tipo di pista facilita il compito, ma anche le modifiche stanno facendo la loro parte. I piloti hanno trovato una SF-23 più costante nei long run, anche se non ha accennato a ridurre il sottosterzo che sembra endemico.

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Ferrari SF-23, l’ala posteriore con il mono-pilone più carica di quella usata in Bahrain

Photo by: Jon Noble

In realtà a Maranello hanno lavorato tutta la notte al simulatore e non solo per rendere la risposta del motore meno brusca in certi regimi: la potenza arriva troppo brutale e innesca un sottosterzo che non facilita le prestazioni, né la durata degli pneumatici.

Quella araba è una pista che impegna in modo particolare le gomme anteriori, per cui addolcire l’erogazione della potenza in certi transitori non significa togliere cavalli, ma trovare la migliore motricità per sfruttare il potenziale della SF-23.

E, allora, la sensazione è che il gruppo di lavoro di Enrico Gualtieri cerchi di “specializzare” le unità alle diverse caratteristiche dei tracciati, fermo restando che le parti usate sono le stesse: il Bahrain, classico circuito stop and go, richiede un utilizzo della power unit fatta di violente accelerazioni e frenate, mentre Jeddah ha percorrenze ad alta velocità che necessitano, per esempio, strategie dell’ibrido completamente diverse.

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Enrico Gualtier e Enrico Cardile i due ingegneri che hanno in mano le sorti della SF-23

Photo by: Ferrari

Intonare il motore a queste esigenze può permettere di sfruttare ogni unità in modo più specifico, senza uscire dai vincoli di omologazione delle parti. È tutto vero o è solo marketing per nascondere altri guai che potrebbero essere determinati da temperature difficili da controllare, come sostengono i critici.

Lo scopriremo dalle qualifiche e domani dall’esito della gara: le Red Bull, in particolare quella di Max Verstappen, sembrano imprendibili, ma se almeno le Aston Martin, seconda forza acclarata anche dalle libere di ieri, finiranno alle spalle della rossa si potrà dire che il mondiale della Ferrari deve ancora cominciare, aprendo qualche credito di fiducia su una squadra che sembra sempre sotto un feroce bombardamento. E con diverso fuoco amico…

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