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Cosa deve fare (e non fare) l'Italia per l'obiettivo al 2035

Investimenti, semplificazione e una buona dose di coraggio sono le ricette di industria, politica e sindacati: il punto a Key Energy

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Il 2035 non è esattamente domani, ma il tempo stringe in vista dello stop alla vendita di motori termici in Europa. A poco più di 12 anni dalla più grande rivoluzione nel settore dell’auto, come se la cava l’Italia dell’elettrificazione? Non proprio benissimo.

I voti li danno gli addetti ai lavori ospiti del talk “Verso il 2035: l’auto (e le istituzioni) alla prova della decarbonizzazione”, organizzato da InsideEVs.it e Motor1.com Italia a Key Energy, la fiera delle rinnovabili di Rimini. Interrogati dal vicedirettore Fabio De Rossi, gli invitati stilano l’elenco delle cose da fare e non fare per il futuro delle quattro ruote.

Bisogna fare di più

“Quella della mobilità elettrica non è una scommessa, ma una scelta scientifica”, esordisce Massimo Nordio, vice president Group Government relations and Public affairs per l’Italia del Gruppo Volkswagen. “Chiaramente – continua – le implicazioni sono enormi, perché questa trasformazione vive in contemporanea a un’altra, cioè la digitalizzazione della società”. Un paio di tecnologie che cambieranno le nostre vite? Guida autonoma e intelligenza artificiale.

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Volgendo quindi lo sguardo al nostro Paese, la transizione dell’auto avrà vita “piuttosto lunga, un periodo che dovrà portarci tutti i benefici e azzerare eventuali problemi”. Come riuscirci? Lavorando insieme: “Tutti gli stakeholder dell’ecosistema mobilità, cioè istituzioni, sindacati, associazioni, costruttori e industria devono unire le forze”.

Al momento, però, lo Stivale è “indietrissimo”. Basta ricordare che “il componente fondamentale dell’auto elettrica è la batteria” e che “nel 2030, in Europa, serviranno circa 1.000 GWh di capacità”. Oggi sono pianificati “750 GWh” e l’Italia, con il suo 10% scarso, ha “un ruolo molto marginale, che non va bene”.

Basta poco

La soluzione? In primis potrebbe essere il riciclo degli accumulatori, che permetterebbe alla Penisola di bypassare la povertà di materie prime. Ma c’è un problema: “Se una startup vuole trovare dei nuovi processi elettrochimici per recuperare i metalli rari da un pacco batterie esausto, non lo può fare, perché l’accumulatore è un rifiuto pericoloso ed esausto, che non può essere manomesso”, spiega Alberto Stecca, ceo di Silla Industries, azienda padovana specializzata nelle soluzioni per la ricarica. “Se lo fai, commetti un’illegalità”.

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Al momento, quindi, “rispediamo tutto, anche verso la Cina, dove le società sanno riciclare”. Eppure basterebbe poco per risolvere: “Mettere mano alla normativa – è la sua proposta – e formare dei sistemi. Poi le startup creeranno un riciclo agile”.

A proposito di leggi, Stecca ricorda che lo sconto dell’80% sulle wallbox (con il limite massimo di 1.500 euro a persona e 8.000 a condominio) non è ancora operativo, perché, anche se “i decreti sono usciti”, mancano i provvedimenti attuativi. “Abbiamo centinaia di clienti – riferisce il ceo di Silla – che vorrebbero acquistare, ma aspettano gli incentivi”. Il risultato è che così “si ferma il mercato e la gente non compra più”. Il giudizio è netto: “L’Italia su questo è veramente pessima”. Semplificare è una delle cose su cui lavorare per non fallire l’obiettivo al 2035.

Esempio virtuoso

Chi, comunque, si prepara a costruire batterie è il Molise, forte della Gigafactory ACC (joint venture Stellantis-Mercedes-TotalEnergies) che sorgerà a Termoli, pronta nel 2026. Come si è organizzata la Regione per ospitare lo stabilimento? Lo racconta il presidente Donato Toma: “L’azienda costruirà nella Zona economica speciale (ZES), dove è previsto il dimezzamento dei tempi autorizzativi”. Da questa prospettiva, è un punto a favore della burocrazia.

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Fra le altre cose, il presidente annuncia l’imminente firma di un decalogo per una transizione giusta ed equa dell’automotive, scritto dall’Automotive Regions Alliance, l’associazione delle Regioni europee protagoniste del settore. Per l’Italia ci sono anche Abruzzo, Lombardia, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto, che si uniscono ai territori di Austria, Francia, Olanda e Spagna.

Il discorso si sposta poi sul rapporto con i lavoratori: “Il Molise ha investito molto – aggiunge Toma – e sarà a fianco dei sindacati, ma non in contrapposizione con l’impresa. Ci porremo su un tavolo dialogante. Riguardo alla questione dei finanziamenti, è chiaro che vanno monitorati e indirizzati. E dobbiamo far sì che anche la ricerca abbia un ruolo importante. Quindi la Regione c’è, ci ha puntato ed è pronta a un tavolo aperto a tutti”.

Vietato fermarsi

Gli stessi sindacati si dicono decisamente a favore della transizione: “Dobbiamo capire che siamo fortemente in ritardo”, denuncia Simone Marinelli, coordinatore nazionale Automotive di Fiom-Cgil. I lavoratori, in certi casi, sembrano quindi più lungimiranti e aperti al futuro di una certa politica conservatrice: “Noi abbiamo partecipato a tutti i tavoli automotive e il tema era sempre lo stesso, andare in Europa e chiedere di spostare la data del 2035. Nessuno si è posto il problema di come arrivare alla produzione richiesta”.

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L’invito a istituzioni, imprese e sindacati è perciò di guardare avanti, “sedersi a un tavolo e ragionare su quali tecnologie il Paese debba investire, altrimenti lo faranno altri Stati europei. Francia, Germania e Spagna – gli esempi – sono partiti ben prima della pandemia e della decisione dell’Ue”.

Insomma, anche la ricetta di Marinelli è il gioco di squadra. Occhio poi anche agli investimenti nel trasporto pubblico: “Se non ne ricostruiamo la filiera, rischiamo di essere mangiati dagli altri”. Un’operazione che “spetta alla politica”, chiamata pure a supportare di più le famiglie a basso reddito. L’importante è “non perdere il treno, altrimenti il Paese rischia di peggiorare la deindustrializzazione iniziata negli anni ‘90”.

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