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Barry Sheene e Geoff Duke, due leggende da celebrare

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Barry Sheene e Geoff Duke, due leggende da celebrare

Nel prossimo mese di marzo abbiamo due ricorrenze da celebrare, due grandi piloti da ricordare per chi ama la storia della moto. Sono due britannici: Barry Sheene a vent’anni dalla sua scomparsa il 10 marzo 2003 e Geoff Duke che tra un mese, il 29 marzo, compirebbe 100 anni.

Parto da Duke che è mancato otto anni fa, alla bella età di 92 anni in una casa di riposo all’isola di Man. Nativo di St. Helens, alle porte di Liverpool, non poteva scegliere un posto migliore per chiudere la sua vita. E’ stato sei volte campione del mondo nelle classi più prestigiose, 350 e 500, con due titoli nella prima e quattro nella mezzo litro.

Norton e Gilera le moto di Duke

Pilota della Norton, Duke si fece conoscere vincendo all’isola e meritandosi un contratto per disputare tutto il mondiale del ’50. Era forte, vinse subito le gare sia con la 350 che con la 500, e la sua doppietta al GP delle Nazioni destò molta impressione anche in Italia: un vero fenomeno, e tra i primi a portare in gara una tuta di pelle intera, motociclistica. Nel ’51, al secondo anno, era già campione del mondo nelle due cilindrate: è la prima accoppiata della nostra storia.

La Gilera lo prese in squadra alla fine del 1952 (Geoff ancora campione nella 350) anche se aveva piloti italiani molto forti, come Umberto Masetti già due volte iridato (nel ‘50 e nel ‘52), come Alfredo Milani, o l’inglese Amstrong. Duke ebbe subito la meglio: con la quattro cilindri di Arcore conquistò tre titoli consecutivi dal ’53 al ‘55, una straordinaria tripletta consecutiva (la prima nel motociclismo) vincendo 13 Gran Premi dei 24 in calendario.

Duke era detto il Duca di ferro, Iron Duke, e ha vinto ben 33 GP in carriera disputandone 82 e salendo sul podio sessanta volte; ma ha vinto anche tre volte la Nord West 200, è un vanto dello sport inglese e nel ’53 è stato nominato Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico. Con i suoi sei successi al TT si è meritato un tratto del tracciato dedicato al suo nome.

Il ritiro della Gilera alla fine del 1957 lo penalizzò, ma anche la FIM fece la sua parte squalificandolo per le prime gare del ’56: Geoff aveva appoggiato lo sciopero dei piloti privati che chiedevano ingaggi meno miseri e pagò di persona. Poi nel ’57 fu una gran caduta in aprile, a Imola, a costringerlo a saltare i primi quattro GP della stagione e fu Libero Liberati a conquistare il titolo con la Gilera.

Geoff Duke è stato un pilota molto tecnico e dal magnifico stile di guida. Generoso, grande appassionato del motociclismo che ha seguito fino all’ultimo con grande competenza. Le polemiche non mancavano, anche alla sua epoca, anche tra compagni di marca. Ma lui è stato capace di mettere d’accordo i tifosi inglesi e quelli italiani: era Iron Duke per tutti.

Barry Sheene indimenticabile

Barry Sheene è una leggenda anche tra gli appassionati più giovani, anche tra chi non lo ha mai visto correre. Nato alla periferia di Londra nel settembre del ‘50 e figlio di un meccanico, aveva esordito diciottenne nel campionato nazionale e nel 1970 nel mondiale. Nel ’71 vinse ben quattro GP, tre in 125 con la Suzuki e uno nella classe 50 con la Kraidler, ma poi per un paio d’anni faticò.

Fu la 750 a farlo risorgere, con il titolo 1973 nella neonata Formula 750, e da lì la Suzuki lo volle in 500 dal 1974, sulla nuova RG quattro cilindri in quadrato. La prima vittoria della RG, ai danni di Ago e della Yamaha, è del 1975 in Olanda, bissata poi dal britannico anche in Svezia. Sheene è ormai lanciato: è lui il campione mondiale nel 1976 con cinque successi, poi ancora cinque volte vincente e campione del ’77. La prima bandiera della Suzuki in 500.

Dopo la Suzuki, con la quale vinse ancora cinque GP nel biennio 78-79 dominato da Roberts, Barry passò in Yamaha con poca fortuna: tre stagioni e una sola vittoria. Chiuse la carriera tornando sulla Suzuki nell’83 e nell’84. Ma furono soprattutto i tanti gravi incidenti a penalizzarlo: dopo il volo del marzo 1975 con la 750, a 250 all’ora nel catino di Daytona (dove si fracassò quasi tutte le ossa), sono famosi gli incidenti del Castellet nell’80 quando perse un mignolo, o ancora quello di Silverstone nell’82, quando si polverizzò entrambe le gambe contro la moto di Igoa che era rimasta in mezzo alla pista dietro a un dosso.

Più volte operato e con decine di viti nelle gambe, Barry decise alla fine di trasferirsi nella più salubre Australia con la famiglia: la moglie Stephanie e i due figli. Lì è stato un ottimo commentatore televisivo, continuando a correre saltuariamente con le moto d’epoca.

Già vent’anni sono passati dalla sua scomparsa, per un tumore allo stomaco quando aveva soltanto cinquantadue anni. Barry è stato un pilota da Leggenda, ma anche un personaggio fenomenale: allegro, scanzonato, con quella leggerezza che è dei grandi. Baronetto di Sua Maestà, capace di alternare l’elicottero alla Rolls ma anche di prendere posizioni coraggiose e molto serie: tra i primi – pur essendo inglese – a boicottare il TT quando era obbligatorio per i piloti del mondiale correre un GP sul Mountain.

A noi piace ricordarlo anche per la sua sensibilità sul tema della sicurezza dell’abbigliamento, oltre che delle piste; fu il primo a capire l’importanza di una innovazione come il paraschiena. E poi aveva una voglia di comunicare davvero, molto rara: parlava anche l’italiano e lo spagnolo. E ricordava immediatamente il nome di tutti i piloti, anche degli ultimi in classifica.

In collaborazione con Moto.it

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