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Autoradio – Da sempre con noi

autoradio – da sempre con noi

Autoradio – Da sempre con noi

La diamo un po’ per scontata, l’autoradio. In macchina c’è sempre stata, come il motore e le ruote. difficile figurarsi un viaggio, o anche solo il tran tran verso il posto di lavoro e ritorno, senza pervadere il proprio ecosistema mobile di parole e musica. A tenerci compagnia, accorciare i chilometri. Ecco, quasi mai ci si è chiesti chi l’ha inventata e quando. La Giornata mondiale della radio che cade lunedì 13 febbraio è l’occasione migliore per scoprire, o riscoprire la forma primaria dell’infotainment.

Da dove viene l’autoradio è presto detto: dal Novecento, il secolo dell’automobile e dei mass media. Inevitabile che i due mezzi si fondessero in una sola invenzione. Americana come l’utilitaria, l’aeroplano e tanti altri brevetti che hanno rimpicciolito il mondo. Furono i fratelli Paul e Joseph Galvin ad avere l’intuizione giusta nel 1928. Il primo modello della Galvin Manifacturing Corp. di Chicago uscì nel 30, si chiamava Motorola 5T71 e poteva essere installata nella maggior parte delle vetture. Il gioco di parole Motorola stava per “suono in movimento” (avrebbe dato il nome all’omonima multinazionale), nonostante ai tempi gli apparecchi radio fossero dei pachidermi. Non faceva eccezione neppure la AS 5, la prima autoradio proposta in Europa dalla Blaupunkt nel 1932: dieci litri di volume, era posizionata nel vano bagagli e regolata tramite un comando sul piantone dello sterzo. Roba da U-boot. “E la polizia, la polizia che fa?”. Quella americana colse presto l’opportunità e nel 1936 fece installare la prima Police Cruiser Radio, la ricetrasmittente che inaugurò le “volanti” di pronto intervento.

Al pari delle radio da soggiorno, le autoradio degli anni 50 e 60 fondevano lo status symbol nell’elemento decorativo degli interni. L’interfaccia, importante, echeggiava l’Art-Déco, ricca di cromature come un juke-box miniaturizzato. Con i pomelli del volume e della sintonia, i tasti in celluloide e bachelite grandi come la novità stessa. Il reticolato di numeri che indicava le frequenze conferiva all’apparecchio un contegno scientifico e vagamente esoterico. Intanto, nel secondo Dopoguerra, la tedesca Becker aveva cominciato a personalizzare gli impianti radio per Mercedes e Porsche, prima di presentare il proprio modello Aerophon e, negli anni 60, la Montecarlo, la prima radio interamente a transistor che ridusse i volumi aumentando potenza e fedeltà. Se siete indotti a pensare che l’evoluzione dell’autoradio sia sintonizzata solo fra Stati Uniti e Germania, ricredetevi: nella sua storia c’è un pezzetto d’Italia che calcola. Ha il nome e cognome di Federico Faggin, il fisico che fra il 1969 e il ’71 portò al primo microprocessore della storia, l’Intel 4004, con gli – inevitabilmente – americani Ted Hoff e Stanley Mazzor e il giapponese Shima Masatoshi. L’invenzione permise di aumentare le prestazioni, individuare le stazioni con rapidità e memorizzarle. Cogliendo in pieno il contemporaneo boom delle radio private in modulazione di frequenza. E nel 1980 fu un’azienda italiana, la Bensi, a inventare il primo frontalino sganciabile, che non obbligò più le persone a girare con l’autoradio in mano o nel borsello di pelle. O, in alternativa, a riparare i finestrini infranti per rubarla.

Quando ancora si andava al mare in utilitaria con la Radiomarelli gracchiante dal sedile, un altro passo importante l’aveva compiuto la Philips nel 1963 con i lettori di compact cassette audio. Il caro vecchio mangianastri, che permise di ascoltare la propria musica preferita e semplificare la vita agli “happy few” che, come John Lennon, installavano l’impianto stereo con giradischi nella Rolls. La prima meccanica autoreverse arrivò nel ’75 dalla Becker: prima, solo le cartucce del sistema Stereo8 riproducevano tutti i lati in loop. Ormai l’autoradio era entrata in un’escalation tecnologica che la portò a multisintonizzatori a 18 memorie per surfare la modulazione di frequenza, equalizzatori a cinque bande, il Dolby Surround e la ricerca automatica. Quando nei primi Novanta il CD sostituì le cassette fu tutta un’orgia di multicaricatori, che anticipavano quello che oggi è il random delle piattaforme Mp3. Il marciapiede davanti al bar era diventato il vero proscenio del car audio: i pianali dei portelloni interamente occupati dai woofer che trasformavano il baule in cassa armonica; i sub-woofer, i midi e i tweeter disseminati nell’abitacolo per ottenere un suono ancora più avvolgente. C’erano impianti audio che costavano quanto l’auto d’occasione. Poi arrivarono le autoradio native, cioè integrate di serie nel pannello di bordo. Quelle e la successiva era digitale con gli Mp3 hanno reso tutto molto più comodo. L’infotainment ha inglobato la vecchia autoradio in un sistema digitale complesso e multiconnesso. Il supporto è un ricordo del passato. Non così la radio, che continua a tenerci compagnia al volante.

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