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Auto elettrica, luci e ombre di una rivoluzione che viene dall'alto. Ecco perché non è di massa

auto elettrica, luci e ombre di una rivoluzione che viene dall'alto. ecco perché non è di massa

Auto elettrica, luci e ombre di una rivoluzione che viene dall’alto. Ecco perché non è di massa

L’auto elettrica è un prodotto da vendere o è un anello della catena della transizione ecologica? La domanda è dirimente. Se prendiamo per buono il primo quesito è ovvio che al momento non c’è partita. Lo dicono i numeri: ad aprile le vetture alla spina (BEV) sono al palo con una quota di mercato in Italia del 2,3% mentre in Europa a marzo 2024 la quota è scesa al 13% rispetto al 13,9% dello stesso mese del 2023. Il consumatore non sta abbracciando la transizione, inevitabilmente lenta e quasi inconsapevole delle sue possibilità, che vanno ben oltre l’auto. E qui arriviamo al secondo quesito. La vettura è parte di un nuovo ecosistema energetico? In questo caso, bisognerebbe rispondere con un’altra domanda: cosa si sta facendo affinché la mobilità a zero emissioni (non solo allo scarico) funzioni con un senso compiuto?

Dal dossier mensile di Terna, emerge come a marzo la richiesta di energia elettrica sia stata soddisfatta per il 41,8% da fonti rinnovabili. I sistemi di stoccaggio sono ancora poco sufficienti per sostenere la transizione verso l’utilizzo del 100% di energia verde. Pensiamo poi alle colonnine. In base ai dati Acea, solo tre paesi dell’UE che coprono oltre il 20% della superficie del Continente (Paesi Bassi, Francia e Germania) ospitano quasi i due terzi (61%) di tutti i punti di ricarica dell’UE. Ma allo stesso tempo, i Paesi che hanno più punti di ricarica pubblici sono quelli che vendono più BEV. E l’Italia? Al 31 marzo 2024, secondo i dati Motus-E, i punti di ricarica sono 54.164 (di cui il 58% al Nord) su un parco circolante di auto elettriche di 226.799.

Permangono poi problemi legati alle fasi di installazione di una stazione di ricarica. Su un punto però l’industria concorda: i cambi in corsa sono un problema. Basti pensare ai nuovi incentivi (finora discontinui ed esclusi alle flotte aziendali) annunciati a febbraio e che a breve vedranno la luce. Logico pensare che il clienti aspetti, se ci sono migliaia di euro in ballo che si possono risparmiare.

«Ma in un Paese come il nostro – analizza Lucio Tropea, oggi Ceo di Smart Italia ma per tre anni Head of Global Marketing e-Mobility in Enel x nonché amante non disilluso dell’endotermico – che è uno dei cinque più grossi d’Europa in termini di volume, i parchi aziendali sono di fatto la fabbrica dell’usato fresco e questo è un elemento di transizione energetica importante soprattutto perché potrebbe aiutare a ridurre l’età media del nostro parco auto circolante che è circa di 13 anni». Insomma, si vuole che il settore auto contribuisca alla riduzione di CO2 anche se la sua quota nella torta complessiva dell’inquinamento può essere considerata residuale? Se sì, è ovvio che prima di decarbonizzare un aereo, una nave, un condominio, è più semplice partire dall’auto, è il frutto facile da prendere dalla pianta ed è anche quello più economico da decarbonizzare, riflette ancora Tropea. Che poi conclude con una previsione: «Come col divieto del fumo nei luoghi pubblici, prima o poi arriveremo a un punto in cui ci sembrerà stranissimo sentire un odore di gas di scarico. Basta decidere cosa vogliamo fare perché altrimenti nel frattempo ci lasciamo le penne». Non solo come sistema Italia ma soprattutto come sistema Europa.

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