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Africa Eco Race 22. D10. La Trilogia dell’Inferno è Finita!

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Ouad Naga, Mauritania, 28 Ottobre. La triade dell’impossibile ha avuto il suo epilogo. Sofferto, felice, incredibilmente autentico. È il visto di serietà di Africa Eco Race 2022, il timbro sul passaporto del Dakariano rilasciato dall’ambasciata del Deserto. Botturi e quella dozzina di duri sono rientrati e si son riuniti alla carovana in fuga inarrestabile, quasi irraggiungibile. La tappa più bella è stata anche la più dura. Chi c’era sa di aver vissuto un episodio particolarmente significativo della propria evoluzione, chi si è arreso ha capito che dovrà volere la rivincita. È la chiave di questa passione. La formula magica del Rally-Raid.

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La lunga notte di Akjoujt e Ouad Naga. I Piloti partiti alle sette di mattina per l’anello di Akjoujt sono arrivati 45 ore dopo al bivacco successivo di Ouad Naga. Tutto il giorno nel deserto, la notte tra le dune o sul camion scopa, il giorno successivo sui mezzi messi a disposizione dall’organizzazione per riagganciare la carovana. La notte nel Deserto è tremenda. Non per la solitudine perché chi corre oggi l’esperienza del Rally-Raid sa che c’è sempre chi veglia sulla sua avventura. Non per la distanza dalla corsa che si crea man mano che il tempo passa, perché ci sarà, ci deve essere lo spazio per il recupero. Solo così la sfida non è mai persa, a meno che non ci si arrenda. Non per la fame né per la sete, l‘acqua e le razioni di sopravvivenza arrivano dal cielo lanciate dagli elicotteri o dall’aereo di Jean Louis Schesser. Però c’è una belva che non si può combattere, non abbastanza. Il freddo. Sembra anche questo un paradosso. Le temperature sono salite costantemente, lo zenith di ogni giorno come una mannaia infuocata. Ma la notte arriva con il gelo, e non basta la tenuta, non basta rannicchiarsi sotto la sabbia. Con il freddo cala la resistenza alla desolazione della solitudine. È il cielo stellato che smette di farti compagnia. Il morale scende fino a che la luce dei fari del Camion Balai non torna a scaldare come una fiamma ossidrica. Dapprima il cuore, poi le ossa intirizzite. Si sale a bordo, qualche pacca sulle spalle e si riparte. Salvi!

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Le Moto, i loro Piloti, e il camion di Verzeletti-Fortuna con il cambio rotto da trainare. Lavoro per gli scampati. Giù a sbadilare per liberare le ruote dalla morsa della sabbia. Le vesciche alle mani abituate a manciate di gas ma non a spalare. Poi si rompe anche il camion scopa. L’equipaggio scende, smonta, salda, rimonta. La zattera di salvataggio riparte. Botturi e i compagni di sventura sono arrivati a Ouad Naga alle due di notte, stremati, e da lì è partita la corsa dei meccanici. La Ténéré 700 #101 aveva il carter squarciato. La cruna guida catena si è piegata contro un sasso, la catena è saltata tra il pignone e l’alluminio della carcassa e il motore è esploso, come era “giusto” dopo tanta sollecitazione. Il motore è cambiato sottraendo alla notte preziose ore di sonno. Botturi non aveva troppa voglia, ma quando i suoi meccanici gli hanno riconsegnato l’arma, come nuova, ha sentito la scarica di adrenalina e la responsabilità di quella passione che accomuna. E si è lanciato in Speciale.

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La Trilogia dell’Inferno è finita. Chami, Akjoujt, Ouad Naga. Quasi 1.500 chilometri di Speciali in tre giorni. Difficoltà crescenti, energie in calo vertiginoso, molti in riserva. Partiti con 40°, Piloti sfiniti con oltre 50° in uno dei Deserti più belli del Mondo. Anche uno dei più micidiali, come si diceva. A Ouad Naga, al termine dell’”anello” di 455 Chilometri, vince Stefan Svitko, KTM. Maurizio Gerini Husqvarna Solarys, secondo, arriva dopo sette minuti, Pal Anders Ullevalserter, KTM, è terzo a ventidue. Botturi sesto, Guerrini 14°, Bellini subito dopo. Grandi tutti! È la tappa più bella del Rally e, secondo Svitko, della sua intera carriera di Africano. Sembra quasi legittimo celebrare anzitempo l’ordine di classifica generale che ormai si deve considerare definitivo: Svitko, Gerini, Flick. Lo slovacco si conferma, è uno dei dieci più forti del Mondo. Gerini è cresciuto tantissimo, alla velocità adesso aggiunge l’autorità del valore conquistato sui campi di battaglia. Flick è una bella scoperta, essere primi delle Malles Motul e terzo assoluto è da considerarsi un primato di eccellenza.

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Fabio Vettore. Al bivacco di Ouad Naga arrivano finalmente notizie, oserei dire buone. Come sempre esagerare è uno sport in voga, anche quando non c’è malizia. Noi cerchiamo di essere sempre ottimisti, a volte ci sembra che possa dare forza, e quindi che sia utile. Fabio è caduto finendo in una buca durante il cappottamento. Botta tremenda, non riusciva più a rialzarsi. Soccorso e portato immediatamente in ospedale a Nouackchott. Giulio Verzeletti, Beppe Fortuna e Angelo Fumagalli sono andati a trovarlo. Perché il Pilota fa parte del Team e perché sono stati “incaricati” dal bivacco, ambasciatori dei compagni di avventura, della popolazione solidale di Africa Eco Race. Vettore non muove le gambe, ma non ci sarebbero fratture vertebrali, e non c’è fuoriuscita di midollo bensì due costole rotte e un ematoma importante che esercita pressione. Il Pilota è rimpatriato in aereo. I medici della Corsa e dell’ospedale civile di Nouakchott dicono che non dovrebbero esserci conseguenze serie. Giusto o no essere ottimisti? Non so. Che per lo meno porti bene. E comunque oggi è meglio di ieri.

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Francesca Gasperi. È cresciuta come il suo moroso, di un incedibile quanto. Non l’hanno voluta alla Dakar, ora faranno fatica a correggere l’errore giudiziario che suona clamoroso. La Honda #149 arriva tutti i giorni e apre l’applauso. Oggi ventesima. All’inizio non ci si credeva, a metà strada che un po’ di fortuna fosse entrata nel progetto, ora siamo alla fine, dubbi e pensieri cattivi sono sbriciolati ed è quel sorriso quotidiano e un po’ commosso che accompagna i fatti nel successo di una donna incredibile. Aver superato le tre tappe micidiali del gran finale del Rally di Jean Louis Schesser (e del figlio Anthony) promuove tutte le grandi qualità di Francesca, è lei la Principessa di Africa Race. A guardarla fa l’effetto del talismano della felicità, una forza contagiosa.

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Perché la speciale più bella? Perché è stata molto dura, infernale per via delle temperature, ma costante, morbida, un toboga di ondulazioni di Deserto piacevoli alla guida, convincenti fino al divertimento. Strani divertimenti – direte voi – provare per credere, dicono i bravi. E i meno bravi scambiano volentieri il piacere con l’orgoglio, sensazione non meno rinfrescante per l’anima, in queste condizioni.

Le tre tappe micidiali chiudono degnamente e definiscono lo spessore di Africa Eco Race. Avrete già capito come la pensiamo. Adesso c’è un’ultima Speciale fino al confine con il Senegal, 120 chilometri appena. Oltre il confine non più il bivacco di Mpal, come previsto ma un nuovo fine tappa a Diama, non lontano da St. Louis. A quel punto la partita potrà considerarsi chiusa. Spento il cronometro resterà tuttavia il finale da brividi, l’ultima volata sulla spiaggia dell’Oceano fino al Lago Rosa, simbolo immutabile e insostituibile delle origini della Storia.

© Immagini Africa Eco Race – Alessio Corradini

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In collaborazione con Automoto.it

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