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Addio a Forghieri, l'ingegnere che sapeva progettare tutto

addio a forghieri, l'ingegnere che sapeva progettare tutto

Addio a Forghieri, l’ingegnere che sapeva progettare tutto

Con la scomparsa dell’ingegner Mauro Forghieri viene a mancare l’ultimo tassello della Ferrari del tempo che fu, quella del Commendatore e dei grandi piloti che hanno scritto pagine di storia della Scuderia. Aveva 87 anni ed era malato da tempo, ma nonostante l’infermità e le cure, l’ingegnere, come veniva ancora chiamato da tutti, era sempre attivo: nel commentare i risultati dei GP o per divagazioni storiche inerenti il mondo dei gran premi. Dopo aver vinto 7 titoli mondiali con la Ferrari, ci fu il divorzio e il passaggio ad altre Case, come Bugatti e Lamborghini, dove ideò e costruì un motore V12 per la F.1 che Ayrton Senna, dopo averlo provato, voleva assolutamente sulla sua McLaren. Solo che all’epoca il marchio apparteneva a Chrysler e gli accordi per la F.1 svanirono presto per mancanza di interesse del colosso americano.

Con Forghieri si chiude una pagina di tecnici innovativi e completi. Nella F.1 moderna, infatti, non c’è nessun tecnico capace di progettare interamente una vettura. Se Adrian Newey, il capo progetto Red Bull, è considerato il genio attuale, per Forghieri bisognerebbe inventare un aggettivo nuovo. Perché al contrario di Newey, sapeva progettare tutto: motore, cambio, telaio, sospensioni e aerodinamica. Un tecnico a tutto tondo frutto di un’epoca in cui bisognava essere completi. Anche nell’epoca dei computer e dei calcolatori, Forghieri non perdeva le vecchie abitudini: un regolo calcolatore, un tovagliolo di carta e su quel foglietto i calcoli per modificare la testa di un pistone di un motore da corsa per ritardare l’accensione della miscela. Roba di ieri? Sì, ma non tanti anni fa. E poi l’umiltà di mettere a disposizione degli ultimi arrivati la sua conoscenza.

Quante volte, chi scrive, nei box di F.1, seduto su una cassa degli attrezzi, apprendeva da schizzi e numeri come capire il comportamento di una monoposto, o dove un pilota emergeva su un altro, dove una vettura aveva un assetto diverso rispetto a un’altra e tutto con la calma e la pazienza dell’insegnante che spiega all’alunno, pur sapendo che questo ha grossi limiti di comprensione. Lo chiamavano Furia, perché quando si arrabbiava, non ce n’era per nessuno. Nei confronti di piloti come Lauda, Reutemann o andando indietro a John Surtees, con cui vinse nel 1964 il primo dei sette mondiali con la Ferrari (mitica la sua 312 T di Lauda del 75, iridata anche nel 77). Fu assunto da Enzo Ferrari che era un ragazzino, a 27 anni gli fu affidata la direzione tecnica dopo la fuga dello staff dell’epoca per contrasti interni alla squadra. Fu messo da parte nel 73 dopo una stagione disastrosa e poi ripescato: “Mi dite di mandarlo via, di cacciarlo – disse Enzo Ferrari – se voi giornalisti me ne trovate uno più bravo di lui sulla piazza, lo assumo subito. Ma vedo che non ce ne sono”. Ecco, pur lasciando la Ferrari, quel cavallino rampante era sempre nel suo cuore, bastava vederlo alle rievocazioni storiche in cui era a fianco delle sue creature. Un esempio? Guardate il film 312 B, dove con Paolo Barilla, erede della dinastia parmense, ha ricostruito e rimesso in strada la sua Ferrari F.1 per il GP storico di Montecarlo. Sentendo i dialoghi, l’amore per quella creatura, si capisce chi era Mauro Forghieri e perché mancherà al mondo dell’auto.

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