Ci ha lasciato Dieter Mateschitz, l’inventore della Red Bull
Nel 2004 acquistò il team Jaguar iniziando un avventura entusiasmante. L’anno successivo la seconda mossa, anticipando la strategia della squadra “satellite”. Per raggiungere l’obiettivo di acquisire la squadra di Faenza poi ribattezzata Toro Rosso, un’altra scelta che ha caratterizzato il suo agire: si fece aiutare da Gerhard Berger, uno dei suoi apprezzati connazionali. Un altro fu Helmut Marko, vincitore di Le Mans che perse un occhio in un gran premio per un sasso che perforò la sua visiera. Helmut è tuttora uno delle punte di riferimento del team di Salisburgo, responsabile della gestione piloti e consigliere personalissimo del grande capo. Mateschitz, infatti, non entrò certo nel Circus per notorietà personale.
Uomo schivo e concreto, è sempre andato pochissimo in pista ed aveva la visione strategica proprio attraverso il connazionale Hemult. Altra dote del guru era la straordinaria capacità di scegliere gli uomini. Volle il principe dei progettisti, Adrian Newey, che già aveva vinto tutto in F1 e continuò a farlo con la Red Bull. E puntò sulla grinta giovanile di Chistian Horner, un team principal con i pantaloni corti. Il triunvirato Marko-Newey-Horner presto si trasformò in un dream team capace di caratterizzare un’epoca. Helmut si dimostrò un talent scout formidabile, scoprendo due dei campioni più cristallini dell’era moderna: Sabastian Vettel (quattro titoli mondiali consecutivi) e Max Verstappen, il baby prodigio che di Campionati ne ha già vinti due.
Nato a Sankt Marein im Mürztal, in Stiria, nel maggio del 1944 quando la guerra volgeva al termine, era figlio di due maestri di scuola. La sua vita fu subito tumultuosa nel settore del marketing americano, considerato il massimo della vita. Lavorò per la Unilever e per la Procter & Gamble prima di fondare, nemmeno 40 anni fa, la sua Red Bull (nel 1984) al socio thailandese Chaleo Yoovidhya (per Dietrich il mondo era il giardino di casa).